martedì 5 aprile 2011

EUROPEAN CARNAGE: Slayer + Megadeth + Sadist live@Atlantico, Roma – 03.04.2011

Slayer e Megadeth in un colpo solo. Fino a un anno fa un tour del genere sarebbe stato impensabile, dati gli attriti tra i membri delle due band, risalenti ai tempi del Clash Of The Titans. Poi di mezzo c’è stata la geniale operazione di marketing del Big 4. Dave Mustaine ha di conseguenza sotterrato l’ascia di guerra facendo sì che io, Charles, il Mancusi e altre duemila teste metal potessimo ritrovarci in fila di fronte ai cancelli dell’Atlantico per quello che tutti e tre a fine serata non riusciremo a non definire come uno dei migliori concerti ai quali abbiamo mai assistito nella nostra ormai lunga carriera di scapocciatori professionisti. Lo so, sembra sempre esagerato e banalmente retorico scrivere robe come “uno dei migliori concerti ai quali abbiamo mai assistito”. Ma che ci posso fare se è vero? Dopo esserci fatti indicare la strada da due ultracinquantenni che avevamo interrotto mentre stavano pomiciando, riusciamo fortunosamente a giungere a destinazione. Il fatto che io e Charles fossimo stati a vedere gli Helloween nella stessa location poco prima e non ci ricordassimo come arrivare la dice lunga sul nostro stato di salute neuronale. Parcheggiamo e ci ritroviamo la classica, rassicurante visione di legioni di trucidi puzzoni metallari con addosso la maglietta degli Slayer che bevono birra. Ci mettiamo in fila e iniziamo a bere birra con addosso una maglietta degli Slayer. Incontriamo un amico regista di Aldo che si compra al banchetto quella di Diabolus In Musica e afferma di amare moltissimo quel disco. Qua scoppia un’animata diatriba teologica perché io e il Mancusi notoriamente lo consideriamo il peggiore lavoro della band, anche se Bitter Peace è molto bella. Poi però facciamo pace dopo aver spostato la conversazione sul secondo argomento del quale entrambi siamo in grado di esprimerci per ore: i Black Sabbath. Ribadito il fondamentale dogma secondo il quale non esiste riff al mondo che non abbia già scritto Tony Iommi, entriamo in un ex Palacisalfa sold out già da un po’. Ad aprire le danze sono i nostri connazionali Sadist. Ammetto di averli un po’ persi di vista da tempo. Non avevo gradito la svolta stilistica di Crust e non ho seguito le evoluzioni più recenti dell’act genovese, tornato ad un sound più vicino al death tecnico di Tribe che alle derive nu metal di Lego. Trevor e compagni, che incentrano la scaletta sui loro ultimi due platter, si confermano ad ogni modo un gruppo che dal vivo sa il fatto suo, con una buona tenuta del palco e una perizia  strumentale di tutto rispetto e, pur senza fare faville, riscaldano adeguatamente il pubblico e si congedano tra gli applausi.
Ero molto curioso di vedere i Megadeth, soprattutto dopo essermi perso come un cretino la tappa capitolina del tour per il ventennale di Rust In Peace, della quale vi parlò a suo tempo Michele Romani. Alla luce di quello che ero riuscito a intuire dai video delle date precedenti caricate dai fan su youtube, le mie aspettative erano piuttosto elevate ma la prestazione di questa sera andrà oltre ogni attesa. Partono infilando di seguito Trust, In My Darkest Hour e Hangar 18 con una precisione e un’irruenza insperate. Unico neo i suoni. Perché, come ha chiosato Aldo, Megadeth coheadliner un par de cojoni. Non tanto per il tempo a disposizione (anche gli Slayer suoneranno un’oretta intensissima sparando un pezzo dietro l’altro freneticamente senza neanche darci il tempo di capire cosa ci avesse colpito) quanto per l’acustica decisamente inferiore a quella inattaccabile della quale godranno i Supremi Emissari del Male Assoluto. Volumi più bassi (non c’è ancora il muro di Marshall che verrà eretto più tardi) e una voce troppo sacrificata nel mix, per quanto non mi sia sembrato affatto che Mustaine avesse qualcosa da mascherare. Osservandolo da pochi metri, nel photo pit, si stenta a credere di avere di fronte un tizio che compirà mezzo secolo tra pochi mesi. Alla luce di uno show del genere, nel dibattito su Megadave tra Trainspotting e Mighi finisco per trovarmi in larga parte d’accordo con quest’ultimo. Da ragazzino ero di quelli che per darsi un tono affermavano di preferire i Megadeth ai Metallica (non era quasi mai vero). Perché essere metallaro significava prima di tutto essere il più impresentabile possibile di fronte al resto della collettività. Alcuni pezzi dei four horsemen li conoscevano pure le tipe, vuoi mettere quanto era più fico Dave Mustaine che litigava con tutti, insultava i giornalisti, si faceva le pere, aveva avuto una vita borderline e ogni tanto aveva delle uscite che, diciamo, non sarebbero state ben accette in un club di intellettuali radical chic? Perchè l’iracondo frontman è sempre stato un tipo poco raccomandabile detestato da chiunque per il suo pessimo carattere . Ed è anche per questo che è stato uno dei miei principali idoli adolescenziali. E il fatto che sia diventato cristiano rinato, se vogliamo, ci sta pure nel personaggio. E poi stasera sono venuto a sentirmi Peace Sells e Holy Wars suonate come si deve, del resto me ne frega tanto quanto.
La line-up attuale è la più in forma dai tempi di Cryptic Writings, ed è esattamente da allora che non scrivevano un disco convincente come Endgame, dal quale vengono tratte l’obbligatoria Head Crusher e 1,320 al posto della solita How The Story Ends (a ‘sto giro fuori dalla scaletta anche Tornado Of Souls, sostituita da un’inusuale Poison Was The Cure). Con Ellefson di nuovo al basso, un batterista solido e ormai collaudato come Shawn Drover e alle sei corde l’ottimo Chris Broderick, il miglior sparring partner che fosse capitato a Mustaine dall’addio di Friedman, i Megadeth sono di nuovo un gruppo e non più Dave con tre tizi qualsiasi. Su A Tout Le Monde ci passa davanti un pezzo della nostra vita e cantiamo come ossessi. In realtà non smettiamo mai di cantare come ossessi. Su Symphony Of Destruction scandiamo tutti il nome della band su quello che resta uno dei più bei riff della storia del metal. Quando si riaccendono le luci, al termine di una performance concitata e senza pause, restiamo attoniti di fronte alla devastante prova di forza live di un act che, comunque la si veda, ha dimostrato di esserci ancora.
Prima del match il pronostico di tutti era per una vittoria ai punti dei ‘Deth. Il dvd del Big Four ci mostrava un Araya stanco e svociato, che, reduce da un’operazione chirurgica, sembrava prossimo al capolinea. Questa sarebbe stata la quarta volta che avrei visto gli Slayer e sapevo bene come Tom avesse già iniziato a perdere colpi. Il forfait di Jeff Hanneman, colpito da fascite necrotizzante (adesso pare aver recuperato del tutto e ha ricominciato a esercitarsi con lo strumento), era sembrato la tegola definitiva. Che succede? Che dopo dei Megadeth così uno pensa quasi di poter pure fare a meno degli Slayer e dopo aver ascoltato gli Slayer di oggi  per un po’ ci si scorda di aver visto dei Megadeth così. Non so cosa cazzo sia successo a Tom, ma questa sera ha recuperato chissà come l’allucinante furia vocale dei suoi momenti migliori. Una prestazione così titanica da parte degli Slayer è una delle esperienze più esaltanti che possano succedere nella tua vita musicale.
La scaletta, al solito, è bilanciata tra capisaldi irrinunciabili e qualche sorpresa. Si parte, come da tradizione, con due estratti dall’ultimo lavoro in studio: World Painted Blood e Hate Worldwide, che dal vivo non fanno prigionieri. Dallo stesso album vengono estratte anche l’hardcoreggiante Americon e l’inattesa Snuff, servita con una tale ferocia da non farla sfigurare accanto ai classici di un gruppo che è indicustibilmente uno dei più importanti lasciti della cultura occidentale contemporanea. No, dico sul serio. Se dovessimo mai comunicare con una cultura aliena farei sentire loro Postmortem, Silent Scream e The Antichrist come sono state suonate questa sera per far capire quali vertici riesce a toccare il genere umano. Viene esclusa a sorpresa Disciple e da God Hates Us All viene recuperata quella scheggia impazzita di ultraviolenza che è Payback. Totalmente ignorato Christ Illusion, avrei voluto risentire Cult ma pazienza. Mi guardo intorno, sono rappresentate praticamente tutte le fasce d’età. Do il cinque a uno che ha la figlioletta sulle spalle, poi durante South Of Heaven mi giro verso le scalinate e vedo un bambino accompagnato dal padre che canta il testo a memoria. Vedere un criaturo di manco dieci anni che urla bastard sons begat your cunting daughters era una cosa che non immaginavo di riuscire ad esperire. Un altro mondo allora è possibile. Al posto di Jeff c’è Gary Holt, che lascerà il posto a Pat O’ Brien dei Cannibal Corpse proprio dopo le due date italiane. Il leader degli Exodus fa bene il suo lavoro, e l’unica stecca la piglia nell’intro di Seasons In The Abyss (forse perché resosi conto imbarazzato che un pezzo di Exhibit B ci somiglia un tantinello) e gli applausi a fine show sono meritatissimi. Dave Lombardo da una lezione di classe a tutti e Kerry King è il solito inarrestabile motore di uno spietato ordigno di distruzione. Si chiude, come da copione, con Raining Blood, Black Magic e Angel Of Death, dove Araya tocca delle vette che ti fanno domandare se, pur essendo notoriamente un cattolico praticante, abbia siglato un contrattino con Mefistofele. Quando si riaccendono le luci su un Atlantico estasiato torniamo a casa commossi e increduli, consci che questa serata ce la ricorderemo finché campiamo.
Txt & Pix by Ciccio Russo
Source: Metal Shock